lunedì 16 luglio 2007

STAZIONI #2

Stazione.
Aldo seduto.
Un borsone davanti ai piedi.
Noia.
E attesa.
E un sottile senso di non appartenenza.
Si guarda intorno, cercando presenze da studiare.
Cercando distrazioni per non cadere nella trappola ricursiva dei suoi pensieri sfatti.

“Si finisce sempre per aspettare un treno... perché si aspetta il ritorno di qualcuno... per ansia di fuga... per desiderio di novità... Anche semplicemente perché è più facile aspettare che qualcosa di inevitabile ci porti via, piuttosto che imboccare una qualsiasi strada, sapendo di poter tornare indietro in un qualsiasi momento...”

Nel cortocircuito delle sue considerazioni sente infiltrarsi una presenza involontaria.
La voce di lei, che l’ha tradito. Le parole di una che l’ha lasciato.
E’ come un cancro maligno, torna a farsi viva quando meno se lo aspetta.
E non può farci niente, quando la sente risalire dal fondo dei mille strati di rabbia e risentimento sotto i quali è riuscito a seppellirla, in due mesi di assenza.
Voce argentina, fresca, ora superficiale, ora profonda, di una serenità disarmante.
Resta un mistero, quella matta. Con tutte le sue accuse.


-Ciao!-
E’ una bambina.

Una bambina bellissima. Con due occhi sgranati di curiosità e stupore.
Si avvicina, saltellando, alla panca su cui Aldo è seduto.
“Ciao!” risponde lui.

Il padre e la madre della bambina, che adesso è seduta vicino a lui, non interferiscono. Hanno facce sorridenti e stanche. La piccola, invece, sprizza di vitalità e voglia di chiacchierare. Ha trovato un bersaglio.
-Quanti anni hai?- le chiede.
-Tre!-
-Non è vero, ne hai tre e mezzo.- e non sa nemmeno lui perché lo dice, ma ne è sicuro.
-E’ vero!- dice la bimba, sgranando ancora di più gli occhi. E’ come se si stabilisse una specie di legame, sull’onda di questa rivelazione. Aldo la osserva da vicino. Non sa se è qualche deformazione della sua mente, ma questa bambina ha gli occhi di Giulia. Castano con pagliuzze dorate, ma è lo sguardo di Giulia.
-Lo sai dove sto andando?- chiede lei con fare ammiccante.
-Dove stai andando?-
-Dalla nonna.-
-E dove sta la nonna?-
-In Albania.-
Aldo guarda tutta la famiglia.

I volti dei genitori, quello della figlia.
Gli sembra così strano che lei possa essere straniera.
-Io mi chiamo Aldo, e sto tornando a casa: studio qui. Quale è il tuo nome?-
-Kirsha.-
-Chirsa?-
-Si, Kirsha!- interviene la madre. Stranamente, però, anche dopo questo intervento, il discorso continua ad essere appannaggio esclusivo di Aldo e della bambina. I genitori si limitano ad ascoltare.
-IO non vedo l’ora di diventare grande!-
-E perché?-
-Perché così divento bella. Avrò gli occhi azzurri!-
-Ma i tuoi sono belli. Non è il colore che conta. E’ l’espressione, quello che fai provare agli altri, mentre li guardi.-
Ed è come un flash, nella mente di Aldo.

Sovrapporre due attimi e due sguardi che lo fissano con la medesima espressione.
Studiandolo.
Iridi castane, a fissarlo stupite, da sotto in sù.

Iridi azzurre, a scandagliargli l’anima, dopo l’ennesima lite, e l’ennesimo ritorno.

Sopra di lui, serie ed impenetrabili.
“A cosa pensi?” dice lui.
“Ti guardo. Devo per forza pensare?”
Ed è come se volesse rubargli la ragione.

E’ uno sguardo, ma anche una lama, uno strumento di precisione contro il quale non esiste difesa.
Lo interroga più a fondo della domanda esplicita che ha appena fatto.
“Tu pensi sempre”
“E tu cosa vuoi da me?”
Un incrocio di silenzi.

Ferite più evidenti nel blu che lo avvolge, dall’alto, in lente spire.
“Un bacio.”
Silenzio, ancora, ma un silenzio che potrebbe scoppiare, per quanto è urlato.
Due labbra che si sfiorano.

Sempre più forte.
E fa quasi male quel contatto.
Senza volontà.
Contro volontà.
Come una molla tirata fino all’estremo limite, e poi lasciata andare senza preavviso.
Come due cannibali in lotta per riconquistare centimetri di pelle, forse anche di tempo perso.

Ma sono attimi.


Poi è come svegliarsi da un déjà-vu, e accorgersi che nulla è cambiato.
-Quanto vuoi diventare alta? Come le nuvole?-
-No. Voglio essere come la mamma.-
-Però sarebbe bello arrivare alle nuvole.-
-Perché?-
-Perché potresti assaggiarle, toccarle, giocarci.-
-E che sapore hanno le nuvole?-
-E’ un segreto.-
Non ha senso, quello che dice.

Se ne rende conto.
Ma è come se le parole gli uscissero dalle labbra senza passare per il cervello.-
-Tu lo vuoi sapere un segreto?- dice la bimba.
-Si-
-Allora dimmi che sapore hanno le nuvole!-
Aldo ci riflette. Ma ci riflette seriamente, come se fosse una questione a cui rispondere in maniera razionale e perfettamente sensata.
-Panna montata, naturalmente.-
-E perché?-
-Perché sono bianche.... sono fatte di latte. Adesso me lo dici il tuo segreto?-
La bambina si avvicina all’orecchio di Aldo.

Mette le mani a conchiglia, per non far scappare via un alito di voce, nemmeno un frammento di quel segreto strano che vuole raccontargli.
Lo bisbiglia, ed è appena un sussurro, impercettibile oltre la cerchia di protezione che gli ha costruito intorno.
Eppure risuona più forte del fischio del treno che sta per fermarsi, proprio davanti a loro.

Aldo si alza. Dà un bacio a Kirsha.
-Grazie!- le dice, salendo sul treno.
La bambina e la sua famiglia restano a terra. Non è questo il viaggio che stanno aspettando.

Aldo nel vagone.

Aldo che cerca posto.
Aldo seduto.
Chiude gli occhi. “Il caso.” pensa.
E ha davanti un foglio di carta. Una lettera trovata per caso.
Presa di nascosto.
Scritta per lui, e mai consegnata.

Io vivo di cose semplici, Aldo. Della stima di chi mi sta intorno. Di battute non corrosive. Di un bel libro da leggere. Dei discorsi di una bambina incontrata in stazione. Delle mie tele. Del cielo stellato sopra una cinquecento rossa, mentre tu dormi e ci passa accanto un treno. Del poterti mettere una mano sull’orecchio, per non farti svegliare, mentre il treno passa. Di impressioni senza senso, o forse con un senso appena un po' più ampio di una cosa da nulla. Di un abbraccio inaspettato. Magari anche di un complimento. Di aspettare le dieci e mezza per vederti, per raccontarti una giornata come tante. Di addormentarmi senza dover troppo chiedere a me stessa se è giusto quello che sto vivendo.
Di addormentarmi, almeno.
Cose semplici, appunto.

E non so cosa vai cercando tu, ma andando avanti così, finirai per svilirmele tutte.
E mi dispiacerebbe.

Davvero.

Perché altre non ne ho.
Un bacio.
Giulia.

15 commenti:

Unknown ha detto...

Che bel pezzo... sono senza parole !!

Anonimo ha detto...

Complimenti: bellissimo.

Unknown ha detto...

Ho viaggiato quattro anni in treno, ogni settimana, sempre da Pescara per Firenze.
Certo che a portarmi dietro un molenschine ce n'era da scrivere...
Comunque ne avrei fatto a meno, anche solo perchè mi spostavo per lavoro non era bello.
La lettera ad Aldo è interessante, sembra che chi l'ha scritta sia una di cui ci si può fidare.
Bel post.

Categong ha detto...

@s.b.:
Grazie!
Allora qualche volta posso scrivere anche qualcosa di serio!!
Temevo fosse troppo lungo.
:)

@rem:
Contenta che ti piaccia(non c'è modo per fare la faccina che arrossisce!?).
:)

@alessandro:
Grazie, anche per il complimento indiretto(visto che il pezzo è tutto mio).
:)
Quindi avevo intuito bene... tu sei di Pescara, vero?
:D

Unknown ha detto...

Sono di Silvi, ho lavorato 8 anni fuori facendo il pendolare, 4 anni a Firenze e 4 in svizzera (Campione d'Italia). Sempre nell'edilizia.
Il complimento non era indiretto, avevo intuito bene anch'io.
Se scrivi così vanno bene anche pezzi lunghi e seri.
;)

Anonimo ha detto...

Bello questo racconto, parte da un incontro casuale e resta nell'aria cosi', irrisolto eppure concluso.Allora non sai soltanto vaneggiare!:)))Maryanna

Anonimo ha detto...

Un post diverso dal solito, diverso dagli altri. Davvero molto bello, molto ben scritto. Un pizzico di malinconia - ma di tanto in tanto non fa male, concederselo. Ancora complimenti :)

Categong ha detto...

@Alessandro:
Ok, allora la prossima settimana pubblicherò un saggio filosofico di 5000 parole sulla riproduzione degli opossum in cattività.
:)
E' serissimo e scritto molto bene, te l'assicuro!

@Maryanna:
Grazie...
Il grado di vaneggiamento di ogni post dipende quasi esclusivamente da quanto tempo riesco a dedicare al sonno.
:D

@Marcello:
Meglio cambiare, neh?
;)
Una volta ogni tanto si.
E grazie anche a te.

Anonimo ha detto...

"Si finisce sempre per aspettare un treno... "

a volte i treni passano e non ce ne accorgiamo neppure...

Anonimo ha detto...

Bellobellobello.
L'unico rammarico è che dopodomani partirò in treno. Ci avessi pensato per tempo, l'avrei stampato e me lo sarei letto durante il viaggio...

Categong ha detto...

@Branzino:
Succede anche questo...
Specialmente quando sei troppo concentrato ad aspettarli, purtroppo.
:(

@Ziby:
Vista la tua ultima citazione Rodariana, consiglierei "C'era due volte il barone Lamberto", come sostitutivo.
;)
Buon viaggio!

Unknown ha detto...

Perchè ti riferivi a quello quando hai detto qualcosa di serio?
Se è così vanno bene anche i vaneggiamenti, si digeriscono meglio con certe temperature...
:)

Categong ha detto...

Ok, lo rimetto nel cassetto, accanto ai quindici volumi della mia autobiografia.
:(

Unknown ha detto...

Sei una tipa tosta tu, eh!!!
Attenta che se continui così, con tutti quei volumi dovrai rinforzare il solaio.
:D

Categong ha detto...

Forse sarà meglio sviluppare il dono della sintesi.
:)